Cambiamenti climatici: foreste che si adattano o che vengono adattate?

Breve escursione nel mondo degli adattamenti delle foreste ai cambiamenti climatici

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Si sente sempre di più parlare di cambiamenti climatici, dei danni che causano agli ecosistemi e, inevitabilmente, all’uomo. 

Le foreste, che sono ecosistemi piuttosto diffusi sulla Terra (coprono circa 38% delle terre emerse), sono vulnerabili ai cambiamenti climatici, pur avendo grande capacità di adattarsi ad essi se questi avvengono in tempi ragionevoli per l’evoluzione.

Purtroppo, questo non è il caso dei cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo e contribuendo in questi anni. Questi cambiamenti avvengono ad una velocità inaudita rispetto ai tempi in cui normalmente si sviluppavano, e interessano tutto il mondo. Proprio la velocità con cui avvengono non consente alle specie naturali di evolversi di pari passo al clima in cui vivono. Insomma, l’evoluzione nel mondo naturale permetterebbe le mutazioni delle singole specie in risposta al clima che cambia, ma queste avvengono in tempi che coinvolgono piú generazioni, spesso non riuscendo a tenere il ritmo del cambiamento repentino di clima a cui assistiamo. 

I cambiamenti climatici odierni causano diverse problematiche agli ecosistemi forestali. L’aumento di frequenza e intensità di eventi estremi, come tempeste e incendi, anche in contesti adattati a questi disturbi, non permettono alle foreste colpite di ricostituirsi. Temperature elevate per periodi più lunghi del normale, in montagna ad esempio, favoriscono la proliferazione di insetti dannosi per gli alberi. Singoli eventi di disturbo, come un incendio, o un’annata particolarmente calda e siccitosa che favorisce insetti come il bostrico, un piccolissimo coleottero di cui magari avrete sentito parlare, non sono necessariamente un problema per le foreste. È vero però che se questi eventi e disturbi invece di essere l’eccezione diventano la regola, foreste intere possono sparire, non avendo più le condizioni adatte in cui crescere.  

Come funziona l’adattamento nei milioni di anni che caratterizzano la storia evolutiva del pianeta e delle sue foreste?

Per fare alcuni esempi, tipici adattamenti naturali sono quelli delle foreste spesso soggette ad incendi. Queste foreste si sono evolute in maniera tale da essere favorite nella rigenerazione dal passaggio del fuoco. I semi di alcuni alberi, come il Pino d’Aleppo (Pinus halepensis Mill.), possono aprirsi rapidamente dopo essere stati sottoposti ad alte temperature come quelle che si raggiungono in un incendio. Proprio perché i cambiamenti climatici dell’ultimo secolo sono troppo rapidi per un adattamento efficace delle foreste, chi si occupa di gestione forestale si è preoccupato di capire come rendere questi ecosistemi pronti per i cambiamenti futuri. Si tratta quindi in molti casi di capire come accelerare l’evoluzione delle foreste per seguire i tempi del cambiamento climatico e possibilmente prevenirli. 

Prima di parlare di questi adattamenti da mano umana, è necessario specificare come le foreste non abbiano alcun bisogno di noi per sopravvivere. Siamo noi infatti, come specie, ad aver bisogno delle foreste in buone condizioni e ricche di biodiversità per continuare ad usufruire di tutti quei servizi (legname, medicinali, fauna, acqua pulita etc.) di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Questo è un discorso che può valere su scala globale, dove la Terra non ha bisogno di noi per esistere, quando invece è vero il contrario.  

Le misure che si possono applicare nella gestione forestale variano a seconda dei contesti, come in molte altre attività umane. Nell’area del Mediterraneo tra le misure che si adottano c’è la riduzione della densità di alberi tramite i diradamenti, per migliorare le condizioni delle piante che rimangono, e ridurre la quantità di combustibile per gli incendi. Diradare significa tagliare alcune piante per accelerare un processo che avverrebbe naturalmente, quello della morte di alcune piante, permettendo la maturazione delle piante restanti che avendo più spazio e risorse a disposizione potranno crescere meglio e saranno più preparate ad affrontare le avversità. Si può poi agire sul sottobosco, riducendo la quantità di arbusti, sterpaglie e legno morto (necromassa) che è un ottimo combustibile per eventuali incendi. La riduzione della quantità di vegetazione del sottobosco si può ottenere anche sviluppando il pascolo nel sottobosco, come si sta tentando di fare in Spagna con il bisonte europeo.  Si può, in terzo luogo, mantenere o far sviluppare le foreste diversificando le specie. Specie diverse infatti rispondono in maniera diversa ai disturbi, rendendole più adatte a resistere a più tipi di eventi. Ancora, si possono favorire alcune specie già presenti in foresta, quindi tagliando la competizione di altre specie ritenute meno adatte alla situazione climatica futura, oppure addirittura favorendo la migrazione delle specie, portando piante adatte a climi più caldi in ambienti più freddi. In Italia, ad esempio, si sta pensando di portare alcuni genotipi di faggio del sud Italia al nord per questo motivo. Si tratta di un processo di migrazione assistita su cui si sta lavorando molto nel settore forestale per capire come è meglio farlo e quando è opportuno utilizzarlo.

Queste sono solo alcune delle numerose misure che si possono adottare per spingere l’adattamento delle foreste a reggere i ritmi dei cambiamenti climatici di oggi e di domani. Cosa ne pensate? E’ corretto assistere in maniera a volte anche invasiva questi ecosistemi o dovremmo concentrarci a fare del nostro meglio per ridurre l’impatto sul clima e lasciare la natura fare il resto?

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