Il legame tra le proteste in difesa degli alberi e quelle per la lotta ai cambiamenti climatici.
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Il 2023 si è aperto con la notizia della protesta in favore dell’ambiente avvenuta a Roma, sulle pareti di palazzo Madama. Nella mattinata di lunedì 2 gennaio un gruppo di attivisti ed attiviste appartenenti ad “Ultima Generazione” ha cosparso la facciata principale del palazzo del Senato con della vernice lavabile arancione in segno di protesta verso la mancanza di attenzione riguardo alle tematiche ambientali da parte delle cariche politiche.
Il gesto ha suscitato subito grande scalpore, tanto da occupare le prime pagine di alcune importanti testate giornalistiche. L’opinione pubblica, come per altri casi di proteste ambientaliste, si è subito polarizzata. Da una parte chi appoggia questa idea, sostenendo che della vernice su una parete è un problema molto meno rilevante rispetto alla crisi climatica a cui stiamo assistendo, dall’altra chi la condanna ritenendo l’azione un atto vigliacco e che non ha nulla a che fare con lo scopo dichiarato, quanto piuttosto con l’intento di offendere e imbrattare il simbolo del Governo della Repubblica. Tra le ferme condanne si trovano anche quelle dei principali rappresentanti della maggioranza, così come alcuni dell’opposizione.
Questo gesto, così divisivo, può essere visto come l’esagerazione di quelli accaduti negli ultimi mesi dello scorso anno, in cui giovani appartenenti a gruppi di attivismo ambientale hanno imbrattato (sempre senza danneggiarle) alcune opere appartenenti ai più famosi musei d’Europa. Gruppi quali Ultima Generazione, Extinction Rebellion e Fridays for Future si basano, infatti, sui principi della lotta non violenta e della disobbedienza civile per chiedere azioni concrete da parte della politica. Per quanto i mezzi possano essere ritenuti più o meno giusti, il fine non dovrebbe essere messo troppo in discussione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, visto il grande clamore delle azioni, l’opinione pubblica si focalizza solo su queste ultime dimenticando i loro principi e i loro nobili intenti.

Anche la difesa di alberi e foreste è stata, ed è ancora, tra i motivi di protesta da parte di numerosi gruppi ambientalisti, magari di più piccole dimensioni perché relative a casi specifici legati ad un particolare territorio. Tra i casi più emblematici della storia va sicuramente inserito quello di Julia Butterfly Hill, che ha organizzato da sola una protesta contro il taglio di alcune sequoie nell’area naturale della foresta di Headwaters in California. Nel 1997, all’età di 23 anni, Julia è salita sulla chioma di una sequoia millenaria (successivamente chiamata “Luna”) destinata all’abbattimento in segno di protesta e ci è rimasta per 738 giorni, ottenendo la rinuncia al taglio da parte della ditta incaricata.
Anche in Italia però si sente spesso parlare di proteste cittadine contro l’abbattimento di alberi, soprattutto in ambito urbano, che in numerosi casi riescono a risultare efficaci. Va specificato, però, che in alcuni casi tali proteste sono mosse più da un senso di attaccamento agli alberi intesi come entità, piuttosto che di tutela della natura e dei suoi benefici. E in questi casi il fine, seppur virtuoso, può ostacolare le azioni di professionisti specializzati portando a disagi non trascurabili, come nel caso di proteste per il taglio di alberi pericolanti in zone ad alto rischio (parchi pubblici, strade, edifici). Oltre a questi casi, in cui l’apertura al dialogo può aiutare a far chiarezza sulla situazione, si assiste sempre più di frequente ad azioni simili a quelle descritte all’inizio di questo articolo per richiedere alle autorità responsabili una maggior attenzione alle aree verdi nelle città. Nel comune di Conegliano in provincia di Treviso, ad esempio, sono comparse delle scritte come “METTI UN BOSCO AL MIO POSTO” in prossimità di zone commerciali e di vecchie strutture abbandonate. Una richiesta esplicita con la quale gli attivisti cercano di richiamare una maggior attenzione verso l’ambiente anche nel contesto cittadino.

Vedendo tutte queste immagini una domanda sorge spontanea: possono tali azioni portare a dei cambiamenti o si dissolvono solo in un grande clamore mediatico? Come ci dimostra il caso di Julia Butterfly, se organizzate nel modo giusto, l’obiettivo può essere raggiunto. Anche se va considerato che bloccare il taglio di un gruppo di alberi presenta sicuramente meno difficoltà rispetto a far fronte alla crisi climatica in generale. Tuttavia, tali proteste vengono raramente ascoltate o, meglio, vengono “evitate” da chi di dovere, perché le richieste risultano scomode e poco in linea con i modelli economici su cui si basa la società. Basti pensare alla questione delle aree verdi nelle città. Un comune di 20 mila abitanti può arrivare a spendere oltre 200 mila euro all’anno solo per la loro manutenzione ordinaria (di cui il 75% circa riguarda solo il taglio dell’erba). Senza considerare i costi in caso di danni legati a eventi estremi (vento forte, incendi, ecc.), e il frequente problema del poco decoro ad esse connesso a causa dell’utilizzo di queste aree da parte di clochard e spacciatori. Perciò è facile comprendere come le richieste di proporre leggi che vadano contro le grandi industrie di tutto il mondo, cioè il traino economico della maggior parte dei paesi, risultano quanto mai utopiche.
Ritornando però ai gesti con cui abbiamo aperto l’articolo, il consiglio che ci sentiamo di promuovere, come giovane gruppo di divulgazione, è quello di non fermarsi subito alla prima emozione che ci muove, ma di provare ad andare più a fondo, informandoci sul tema e ascoltando le motivazioni di entrambe le parti. Solo così è possibile sviluppare un’opinione critica in merito ad un tema quanto mai importante. Altrimenti ci si ferma solo all’apparenza del gesto e si acclama all’indecenza e alla codardia di qualcuno che probabilmente ha davvero a cuore la causa.