L’insostenibile leggerezza dell’essere, o meglio, dell’industria del legname

Una recensione di un documentario che, come appassionati di scienze forestali, ci tocca da vicino, anzi, da vicinissimo.

Tempo di lettura 7′

Foto di John-Mark Smith da Pexels

Scorrendo il catalogo Netflix qualche sera fa mi sono imbattuto in un titolo che mi ha subito attirao e anche un po’ disturbato: “Wood industry: a business against nature”. Ma come? Esiste una qualunque forma di attività umana che sia a favore della natura? Ho sempre pensato che il massimo che si può fare, nella propria vita, è camminare come si cammina in bosco, con passo lieve e possibilmente in silenzio, lasciando meno tracce possibili, in termini negativi, del nostro passaggio. Quindi già la premessa sottintesa nel titolo mi lasciava perplesso, ma per curiosità ho iniziato a guardarlo, prendendo un po’ di appunti e già pensando a come poterlo presentare a chi non lo conosce. 

Partirò con il dire che è un prodotto che sicuramente fa riflettere, anche se non riporta delle novità importanti, se non facendo vedere quello che succede con le multinazionali e col perseguire logiche di profitto al di sopra di tutto, nel settore forestale. E’ un discorso che vale un po’ per tutti i settori, ma visto che ci lamentiamo, noi forestali, che non si parla mai abbastanza di foreste al grande pubblico, eccoci qua. 

Il documentario si concentra su due casi, quello della famigerata IKEA, azienda di origine svedese per la produzione di arredamento monta-da-te a basso costo, e Asia Pulp and Paper (APP), meno nota, ma un gigante della produzione di carta, per aziende come Mattel, nota produttrice di giocattoli come le Barbie, la Lego e molte altre.

Foto di Alexander Isreb da Pexels

Partiamo quindi dall’inizio, ovvero dal titolo. Ovviamente il titolo deve attirare, perciò non commenterò troppo la questione. Mi limito a sottolineare come generalizzare prendendo due aziende come rappresentanti di un intero settore, e definire un’intera industria come “contro natura”, sia fuorviante, come minimo. Fondamentalmente viene mostrato come le promesse di rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale nella gestione delle foreste alla base delle due aziende protagoniste non siano rispettate in due dei Paesi da cui traggono una grande quantità di materia prima, la Romania per IKEA e l’Indonesia per APP. 

Per il primo caso, la Romania, viene investigato il ruolo di uno dei maggiori fornitori di legname di IKEA nel Paese e le promesse, disattese, di utilizzare solo scarti di legname, tronchi di piccoli diametri e di scarsa qualità per la produzione di pannelli truciolari che vengono montati nelle case di chi compra alcuni tipi di mobili IKEA. Vengono mostrati diversi camion con grossi quantitativi di faggio di diametri grandi, tipici di piante molto vecchie. Per chiunque abbia visto il genere di tronchi che vengono utilizzati nelle segherie per produrre manufatti in legno di pregio, le immagini dei tronchi sul camion appariranno in parte coerenti con le promesse del fornitore. Questo perché quei tronchi sono spesso cariati, di forme irregolari e troppo grandi per le macchine utilizzate normalmente in segheria. Insomma non pare trattarsi di materiale di prima qualità per lavorazioni complesse e di valore. La cosa grave in realtà, evidenziata nel documentario, è la fonte di questo legname: si tratta infatti di legname proveniente da foreste protette e vergini, ovvero mai gestite dall’uomo, di cui rimangono pochissimi esempi in europa. La violazione delle leggi dello Stato rende quindi questo legname illegale. E’ stata fondamentale, per la completezza dei contenuti di questa parte del documentario, l’intervista ad un rappresentante di IKEA. Il rappresentante in questione ha affermato che loro stessi spesso non hanno direttamente a che fare con questi fornitori e che, pur preparandosi all’eventualità di violazione delle leggi da parte dei propri fornitori, prima di prendere decisioni definitive aspetteranno gli esiti dei procedimenti giudiziari. Mentre trovo condivisibile e sacrosanta la seconda posizione, aspettare gli esiti delle indagini, la prima decisamente stona di più, perché sembra molto una mancata presa di responsabilità e di controlli dovuti (due diligence) sulle fonti di approvvigionamento del materiale, che sono la chiave per poter affermare di rispettare l’ambiente. 

La seconda parte del documentario si è invece concentrata sull’APP. Questa parte è stata ben documentata e approfondita, specialmente la parte riguardante la responsabilità dell’azienda in una serie di incendi gravissimi, in termini umani e ambientali, avvenuti nel 2015, e originatisi in buona parte nelle piantagioni dell’azienda. Un punto che mi ha favorevolmente colpito è stato l’approfondimento su come si originano gli incendi in foresta e su quale sia stato, e sia tuttora, il ruolo di grandi aziende come APP nella gestione forestale e nella prevenzione, grazie alla partecipazione di un professore universitario di agraria. Proprio questo professore è stato incaricato dal Ministero dell’ambiente di svolgere una perizia proprio sul ruolo di APP nella questione degli incendi del 2015. Spoiler: l’azienda non si cura di gestire in maniera corretta le piantagioni, né si preoccupa di fare una corretta prevenzione, non essendo dotata di sufficienti uomini e mezzi per intervenire rapidamente o individuare alla nascita gli incendi. Per questo è stata condannata per le proprie responsabilità nel disastro ambientale e sanitario che è seguito. Tuttavia, al contrario di IKEA, nessun rappresentante dell’azienda si è messo a disposizione degli autori del documentario per rispondere alle domande.  

Conclusioni?

Qualcosa che fa perdere di valore, o che rende quantomeno incompleto, il documentario è l’assenza totale di riferimenti alle certificazioni forestali di cui almeno IKEA sappiamo essere dotata. Non solo di FSC o PEFC, di cui vi abbiamo parlato in diversi articoli, ma neanche di altri schemi di certificazione meno noti viene mai fatta menzione per tutto il documentario, cosa che pare alquanto strana. Sarebbe stato interessante vedere che posizione hanno le due ONG, FSC e PEFC, sui fatti attribuiti a queste due grandi aziende del settore del legno. Gli autori del documentario erano a conoscenza dell’esistenza delle certificazioni forestali? Se sì, perché non hanno investigato sull’argomento?

Vi è inoltre una menzione alle piantagioni che si percepisce come negativa da parte degli autori del documentario. E’ indubbiamente vero che da un punto di vista ecologico una foresta sia meglio di una piantagione, ma  troppo spesso per denunciare comportamenti o pratiche scorrette ci si dimentica di contestualizzare i problemi, confrontare con altre situazioni o si sminuisce proprio la complessità della gestione delle risorse naturali. Ora, si può senza dubbio osservare che è un documentario di 54 minuti e non un trattato sulle piantagioni o sulla sostenibilità della gestione forestale, però se si vuole fare informazione e sensibilizzazione bisogna farla facendo capire la complessità dei temi di cui si parla. 

Infine, è curioso come non ci sia nessun messaggio finale agli spettatori, a cui magari altri documentari di sensibilizzazione ci hanno abituato. Questo può sia lasciare allo spettatore lo spazio di formare una propria opinione oppure, dato il taglio del documentario, non ne è stata vista la necessità. E voi che ne pensate? Lo avete visto?

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: