La gestione forestale…divina

Come le religioni hanno influenzato le foreste nel corso dei secoli.

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Nel corso dei millenni l’essere umano ha modificato l’ambiente a lui circostante in base alle proprie esigenze e per soddisfare i propri bisogni. Fra le attività che modificano, anche temporaneamente, l’aspetto paesaggistico di un luogo vi è senza dubbio il taglio del bosco che, se svolto in maniera razionale e pianificata, prende il nome di selvicoltura (per approfondire selvicoltura I e selvicoltura II). Oggi questa attività è regolata da figure tecniche, i dottori forestali, che, tramite appositi progetti, indicano il modo di agire più adatto in quel dato bosco. Ovviamente non è sempre stato così e, prima che la selvicoltura diventasse una scienza a tutti gli effetti, le foreste sono state gestite nei modi e per i motivi più svariati. Fra questi motivi ce n’è uno piuttosto particolare: la religione.

Può sembrare strano, ma nel corso della storia le varie credenze religiose hanno avuto un forte impatto sul controllo dei boschi e spesso, queste, riuscivano a fare presa sulle persone anche dove la legge falliva. Infatti in Europa, ma non solo, le foreste hanno rappresentato i primi luoghi di culto, dei veri e propri templi a cielo aperto in cui recarsi per connettersi con le (o la) divinità. Le popolazioni pre-cristiane, pagane, seppur diverse tra loro erano accomunate dalla venerazione della natura, e nel culto romano, così come in quello greco, norreno, celtico o slavo, gli alberi, e in particolare le foreste, avevano un ruolo di rilievo. 

Basti pensare che, anche dopo la costruzione di veri e propri templi adibiti alle pratiche religiose, i boschi hanno mantenuto lo stesso la loro “sacralità” tanto che nell’antica Roma esistevano dei veri e propri boschi sacri, detti “luci”.

Il luco era appunto una porzione di bosco, spesso delimitata da un recinto di pietra, in cui era vietato tagliare gli alberi o cacciare, poiché, essendo dedicato a una divinità, doveva essere rispettato e lasciato alla sua evoluzione naturale, salvo rari casi. La divinità associata al luco era di solito scelta in base alla specie forestale presente, perché ogni albero era legato a una o più figure divine. Ad esempio il faggio e le querce erano sacri a Giove e quindi diversi boschi in cui queste specie vivevano insieme erano consacrati al re degli dei (per approfondire i boschi misti, qui).

A sx Faggio (Fagus sylvatica). A dx Cerro (Quercus cerris), una delle specie di Quercia. Giosuè Colarelli.

L’importanza dei luci per i romani è ben nota, tanto che Plinio il Vecchio scrisse “Non meno che le statue divine ove splendono oro e avorio, adoriamo i boschi sacri e, in questi boschi, il silenzio” e credo che questo lasci ben intendere il grande valore che questi luoghi avevano per la comunità.

Il fatto che esistevano boschi in cui non veniva praticato un taglio intenso ha ovviamente modificato il paesaggio, perché ha permesso a diversi alberi di raggiungere dimensioni notevoli e di vivere per diversi secoli. In alcuni casi, dopo la conversione al cristianesimo, alcuni di questi boschi sono stati “riconvertiti”, ovvero sono stati dedicati a qualche figura santa per la nuova religione, e sono quindi stati risparmiati da un taglio intenso. Questo perché avere zone boscate con una presenza di alberi di grandi dimensioni, spesso facilmente raggiungibili, era estremamente utile per la pastorizia: gli alberi fornivano ombra al bestiame durante le calde giornate estive e, tramite una antica tecnica di potatura, che conferiva agli alberi una forma a candelabro, i pastori ottenevano dagli alberi stessi fronde, da utilizzare come foraggio per i loro animali, e pali di legno.

Faggio “a candelabro” in quello che, un tempo, era un bosco sacro dedicato a Giove. Pescocostanzo (AQ), Giosuè Colarelli

La presenza di boschi sacri non era esclusiva dei romani, ma era diffusa anche nelle popolazioni germaniche. Questo non vuol dire che queste popolazioni non gestivano il bosco tramite taglio ma, al contrario, proprio perché il legno era una risorsa fondamentale, con cui oltre a scaldarsi e a cucinare si costruivano utensili, abitazioni e mezzi di trasporto, come carri e navi, era fondamentale salvaguardare il patrimonio forestale e, così, venivano delimitate zone sacre agli dei, per assicurare al bosco una continuità nel tempo.

Veniva usata la religione come deterrente del taglio in determinate aree perché, mentre la legge poteva essere infranta più facilmente, ad esempio dai fuorilegge, tutti erano timorosi di profanare un luogo sacro e rischiare di attirare su di sé l’ira delle divinità. Anche dopo l’avvento del cristianesimo le foreste sono rimaste di fondamentale importanza per la popolazione e sono state di grande interesse soprattutto per gli ordini monastici. In particolar modo i monaci benedettini, oltre che per il fabbisogno dell’abbazia, praticavano anche la vendita del legname ed è per questo che davano grande importanza alla selvicoltura. Questi monaci, oltre al taglio degli alberi, si occupavano anche dei rimboschimenti, ovvero trasformavano zone agricole non redditizie in boschi, tramite la piantumazione di giovani alberi. Basti pensare che è proprio nell’abbazia benedettina di Vallombrosa, in Toscana, che nel 1869 nacque la prima scuola forestale italiana: il Regio Istituto Superiore Forestale. 

Nonostante oggi la religione non sia più un punto di riferimento per la gestione forestale nel mondo occidentale, i boschi hanno comunque mantenuto il loro aspetto “sacro”, tanto che nel sistema CICES (Classificazione Internazionale Comune dei Servizi Ecosistemici), tra i vari servizi ecosistemici che le foreste ci forniscono, sono presi in considerazione anche i servizi storici e culturali, che includono al loro interno il valore spirituale, ricreativo e informativo che un bosco, o più in generale un ambiente naturale, può avere per la società. 

In questo articolo abbiamo quindi visto che le credenze religiose hanno fornito validi aiuti per la gestione forestale e che il bosco, oltre che per il nostro pianeta, è stato ed è tuttora fondamentale per l’uomo e, anche per questo, va valorizzato.

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