Bruciare legna per scaldarsi può inquinare, è faticoso e richiede pratica, ma ha anche dei difetti.

La legna come fonte di energia rinnovabile e buone pratiche di combustione.

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Catasta di legna, principalmente da ardere e non ancora tagliata in ciocchi. Foto di Giulia Nicoletto.

Nonostante sia inverno, le temperature, specie in montagna, non lo rendono proprio proprio così “invernoso” come piacerebbe a me. Nella piana del Po invece i gradi sono 2 (percepiti come -15° grazie alla perenne umidità che avvolge la pianura padana come la piadina avvolge il prosciutto) e mi fanno venir voglia di accendere un bel fuoco. Congiuntamente si fa sentire una pesante cappa di inquinamento in pianura, dovuto principalmente alle emissioni da pessimi sistemi di riscaldamento domestico. Purtroppo tra questi pessimi sistemi di riscaldamento ce ne sono alcuni, specie quelli più datati, che funzionano grazie alla combustione di biomasse, in particolare legna da ardere e pellet, secondo uno studio del Cnr riportato in questo articolo dell’ANSA. 

Tuttavia le biomasse vegetali sono annoverate tra le energie rinnovabili e i governi spesso incentivano l’acquisto di impianti a biomasse moderni che limitino le emissioni dannose, tipo quelle che portano all’aumento di Pm10, comunemente chiamato particolato. Il particolato è una combinazione di polveri, pollini, particelle carboniose, metalli, silice e altri ingredienti di vario tipo, solidi e liquidi. E’ pericoloso perché cancerogeno ed è dimostrato come possa aiutare la trasmissibilità di virus. In tempi non sospetti (2002) quest’ultima caratteristica era già stata evidenziata dagli scienziati per la SARS.  

La preparazione della legna da ardere. Foto di Giosuè Colarelli.

Come mai quindi questa contraddizione tra supporto pubblico per bruciare materiale vegetale per scaldarsi e allo stesso tempo prove di inquinamento dovute a questa forma di combustione? Partiamo prima dai fondamentali, ovvero cosa si brucia nelle nostre stufe di solito. Si può bruciare la legna da ardere, in forma di ciocchi, possibilmente con un’umidità compresa tra 25 e 15%. Pensate che il 60% del peso della legna appena tagliata è dovuto all’acqua. E’ chiaro come sia fondamentale lasciar essiccare la legna da ardere almeno un’estate (anche due) prima di utilizzarla. La percentuale di umidità è fondamentale perché influenza la quantità di energia necessaria per la combustione. Più un materiale è umido, maggiore sarà la quantità di energia consumata per la combustione. Si può bruciare il pellet, specie di pastiglie di materiale vegetale fino e compresso, con bassissimi tassi di umidità (10% circa). Il pellet si ottiene dai residui di lavorazione delle segherie o dai residui dei lavori in bosco, dove la ramaglia, con le foglie, le cime delle piante e parti del fusto e della corteccia sono scartati prima di caricare i toppi (tronchi tagliati di modo da rispettare le esigenze delle macchine delle segherie). Ci sono poi i bricchetti (tasso di umidità al 6-8%) che sono sempre prodotti elaborati ottenuti da materiale vegetale di scarto, come materiale legnoso, gusci di noci o caffè. 

Un sacco di pellet. Foto di Tommaso Spilli.

Perché le biomasse vegetali, in questo caso quelle legnose, si considerano come energia rinnovabile? Perché si bruciano le piante invece di lasciarle in bosco? Si considera rinnovabile l’energia ottenuta dalla combustione di legna perché le piante ricrescono in tempi brevi e la CO2 emessa nella combustione fa parte del ciclo di carbonio “naturale”, ovvero carbonio assorbito nel ciclo vitale di un essere vivente come un albero. Questo non succede quando bruciamo i combustibili fossili di ere geologiche passate come il petrolio o carbone fossile. 

Un esempio di bosco di faggio gestito a ceduo. Foto di Dori Zantedeschi.

Per la seconda domanda invece la risposta è molto più ampia. Normalmente, almeno nei Paesi sviluppati, non si destinano piante di prima qualità alla produzione di energia (qualità intesa come possibili utilizzi per l’edilizia o l’arredo). Di solito quello che si brucia sono alberi molto comuni, come il faggio, provenienti da gestioni apposite, come il ceduo (quando si sfrutta la capacità di una pianta di ricrescere e generare molti fusti “a cespuglio” a partire dalla ceppaia). La produzione di legna da ardere è comunque una fonte di reddito per molte comunità rurali. 

E come mai si continua a bruciare la legna, nonostante ci siano sistemi efficienti, come quelli a metano o comunque elettrificati? Ci sono diversi motivi: dai più ancestrali, e forse frivoli, come il piacere del caminetto e la soddisfazione di accendere il fuoco con successo al primo colpo, a quelli più pragmatici, come la mancanza di alternative più economiche, come avviene in molti paesi di montagna dove il metano non arriva. 

E ritornando alla questione inquinamento? E’ senza dubbio vero che bruciare biomasse vegetali, come quelle sopracitate, inquina. Così come inquinano quasi tutti gli altri sistemi di riscaldamento. Se non si hanno alternative alla legna il dubbio se ricorrere ad altri metodi non si pone ovviamente. Tuttavia posti dove non ci sono molte alternative sono spesso posti di montagna, dove il numero di impianti domestici di riscaldamento a legna è molto basso, per via di una popolazione ridotta e centri abitati piccoli e dove l’origine della materia prima è molto vicina. E’ chiaro quindi che preoccuparsi di inquinamento da combustione a legna in montagna non è proprio giustificato. In caso di presenza di impianti, anche domestici, vecchi si può poi sempre approfittare dei numerosi incentivi di sostituzione a favore di impianti più moderni che riducono enormemente il problema. Per quanto riguarda altri contesti, come quelli urbani della pianura, la questione è diversa. Innanzitutto è fondamentale attrezzarsi con impianti il più possibile efficienti e con sistemi di controllo di emissioni di particolato. I caminetti non rientrano tra questi, ahimè. Proprio i caminetti si possono però adattare in termocamini, rendendoli più sicuri ed efficienti.  

L’altro accorgimento che si può e si deve, adottare è quello di utilizzare biomasse certificate per la qualità e la provenienza, ad esempio la certificazione Biomassplus

Come appare il marchio BiomassPlus. Foto dal sito https://www.biomassplus.org

Possibilmente puntate ad acquistare: 

  • biomasse prodotte vicino al vostro luogo di residenza, per ridurre al minimo le emissioni di CO2 del trasporto e per assicurarvi che la legna non provenga da tagli illegali come purtroppo spesso avviene anche per questo tipo di prodotti di “scarso” valore,
  • il più secche possibili, per rendere la combustione il più efficiente possibile,
  • di specie molto diffuse, di modo da non arrecare danno alla sopravvivenza di specie più rare, evitando di danneggiare in questo modo la biodiversità,
  • che non abbiano funghi o muffe principalmente per il problema di umidità. Dove crescono funghi e muffe di solito non si può pensare che il prodotto che andiamo a bruciare sia particolarmente secco. 

E soprattutto evitate in tutti i modi di bruciare prodotti di scarto domestico, come pezzi di vecchi mobili verniciati, impiallacciati (rivestiti di legno trattato) o trattati con impregnanti contro l’umidità o carta di riviste patinate (possibilmente da evitare anche i giornali). Le vernici, gli impregnanti e gli inchiostri sono avversari temibili per i nostri, e non solo, polmoni e la qualità dell’aria più in generale.

Altre informazioni su come accendere la stufa, mantenerla e essere sempre aggiornati le potete trovare sul sito di Aiel Energia qui.  

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