Uno sguardo ai cinque fattori principali responsabili della perdita di biodiversità su scala globale (spoiler alert: sono tutti legati alle attività umane)
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La biodiversità sta vivendo una vera crisi a livello globale ed è in forte declino. Il tasso di estinzione delle specie va oggi ad una velocità senza precedenti nella storia dell’uomo, fino a 100 volte più elevato del normale ritmo degli ultimi 10 milioni di anni. L’ambiente sta cambiando così velocemente che molti organismi non riescono ad adattarsi alle nuove condizioni. La perdita di specie comporta gravi conseguenze per gli ecosistemi di cui facevano parte. Infatti, all’interno di un ecosistema tutte le specie sono intrecciate e in equilibrio tra loro, come a formare una rete. Ogni volta che una specie scompare parte della rete si indebolisce. Detto ciò la scomparsa di una specie non comporta necessariamente il collasso dell’ecosistema. Infatti, proprio la diversità biologica e la sua complessità rendono l’ecosistema resiliente e quindi capace di rispondere ai cambiamenti. Purtroppo oggi, molte delle attività umane esercitano una forte pressione sulla natura, mettendo a rischio la sopravvivenza non di una sola specie, ma di migliaia allo stesso tempo. L’ultimo rapporto del IPBES (piattaforma intergovernativa scienza-politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici) sulla valutazione globale della biodiversità e dei servizi ecosistemici ha stimato che circa 1 milione di specie animali e vegetali è oggi a rischio estinzione.
A livello globale, sono cinque i fattori diretti che maggiormente impattano la natura:
- La distruzione, degradazione e frammentazione degli habitat sono la principale minaccia per la biodiversità. Le cause possono essere naturali, provocate da calamità come incendi, tzunami o alluvioni ma l’impatto maggiore sugli habitat è ad opera dell’uomo: l’urbanizzazione, l’agricoltura intensiva, l’allevamento di bestiame distruggono e degradano le aree naturali trasformandole in ambienti poveri di biodiversità. Secondo l’IPBES, tre quarti della superficie terrestre è stato profondamente alterato. Circa un terzo della superficie terrestre è ora utilizzato per la produzione di alimenti di tipo vegetale e animale. Le foreste pluviali tropicali, i biomi più ricchi in biodiversità e specie endemiche del pianeta, sono state e continuano ad essere distrutte e rimpiazzate da coltivazioni di soia, palma da olio e canna da zucchero. Il risultato delle attività umane è quindi un paesaggio dominato da un habitat antropizzato alternato qua e là da piccole aree naturali, divise e frammentate tra loro come isole in un mare di strade, infrastrutture e coltivazioni che limitano gli spostamenti di animali e piante da un’isola all’altra.
- Il sovra sfruttamento delle risorse e degli organismi animali e vegetali ossia l’estrazione di materie prime come metalli preziosi e idrocarburi fossili, il commercio illegale di legname, l’estrazione di piante per l’industria farmaceutica e cosmetica, il commercio di animali selvatici, la caccia e la pesca intensiva. L’uomo sta utilizzando le risorse naturali a un ritmo insostenibile, portando all’estinzione diretta di molte specie e alla degradazione degli ecosistemi, e quindi indirettamente degli organismi che ne fanno parte.

- Cambiamento climatico: Le attività umane hanno provocato un aumento della temperatura globale di circa 1.0°C rispetto ai livelli preindustriali e portato a forti squilibri nel sistema climatico terrestre. Fenomeni meteorologici estremi come ondate di calore, incendi, gelate tardive, alluvioni e siccità sono sempre più frequenti e intensi. Questi cambiamenti hanno un forte impatto sulla biodiversità e sui tempi della natura.
- Le specie esotiche invasive sono specie che si sono diffuse al di fuori dell’areale di distribuzione di origine e minacciano la biodiversità della nuova area invasa, ad esempio competendo per le risorse. In confronto alla perdita di habitat o ai cambiamenti climatici può sembrare una minaccia di poco conto, ma la globalizzazione e l’aumento della connettività globale stanno aumentando il rischio di invasione. Un esempio recente, di cui si è tanto parlato questa estate, è la recente diffusione del calabrone asiatico (Vespa velutina) in Italia: abile predatrice dell’ape mellifera, rappresenta un’ulteriore minaccia per le api, già fortemente a rischio. A differenza delle popolazioni di api asiatiche, prede naturali della Vespa velutina, le api europee non sanno difendersi da questo nuovo predatore.
- Inquinamento: l’impiego smisurato di insetticidi, pesticidi e diserbanti utilizzati in agricoltura, ma anche lo sversamento in natura di scarichi e rifiuti industriali e civili, stanno fortemente alterando il ciclo dei nutrienti, impattando le acque, l’aria e il suolo.
Il conclusione, il quadro generale non è rassicurante ed è necessario pensare ad un nuovo modello di vita e di sviluppo che sia sostenibile e rispettoso della natura. Negli ultimi anni, alla richiesta di azioni da parte della comunità scientifica è stato risposto che è impossibile fermare da un giorno all’altro il sistema produttivo, le emissioni, il sovrasfruttamento delle risorse a beneficio dell’ambiente, perché il mondo e la società devono andare avanti. Tuttavia, l’attuale pandemia ci ha dimostrato che è possibile fermare all’improvviso il treno del progresso su scala globale per contrastare una crisi sanitaria, suggerendo che altrettanti sforzi potrebbero essere fatti per la crisi ambientale. Nel nostro piccolo, ci auguriamo che la Strategia Europea sulla Biodiversità per il 2030, che tra le tante missioni si prefiggere di ripristinare gli ambienti degradati e di allargare le aree protette, porti ai risultati sperati.